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Obes Grandini

Due ruote attraverso l'Africa

Due ruote attraverso l'Africa

Volare a Città del Capo, allestire la propria bicicletta e ritornare a casasulla inseparabile due ruote. 20.000 Km in un anno. Questa la porzione divita raccontata nel libro.Le notti accampato nella Savana; il dramma delle prostitute/bambinein Sud Africa e Namibia; la sopravvivenza senz’acqua nel Sahel; la breveprigionia in Sud Sudan; l’incubo dei visti e le frontiere impossibili; imovimenti di popolo della nascente Primavera Araba; il pellegrinaggio arendere omaggio alla memoria di Dian Fossey.Incontri con culture e natura dirompente, contraddizioni, disagi e dignità,in cornici di paesaggi mozzafiato descritti con semplici ed efficaci parolee un pizzico di ironia.Grandini ha 58 anni quando compie questo viaggio. L’incedere guasconedei primi libri cede il passo alla disillusa amarezza che un uomo occidentalesensibile e onesto non può non avere di fronte alle profonde diseguaglianzetra il mondo africano e il modello occidentale di vita.

Leggi il primo capitolo

Prologo Correva l’anno 1982. L’Italia calcistica vinceva con merito il campionato del mondo di calcio. Mesi dopo, quelli invernali, vagavo nel deserto algerino, alla scoperta del Sahara e del mondo musulmano, in sella alla mia prima bicicletta, la Viscount inglese. La nazionale azzurra, in quel mondiale, sconfisse in finale la Germania, odiata nemica dell’Algeria in quanto, con una combine d’uso nel mondo del pallone, permise il passaggio del turno all’Austria, anziché alla meritevole Algeria. Così, senza saperlo, mi trovai nei panni del vendicatore, figura sovente eroica nel mondo musulmano. L’Algeria in quegli anni era molto povera. Nelle oasi la farina per il pane era agognata come la pioggia. Davanti ai forni si formavano lunghe code in attesa del nobile cibo. Alterchi, in una lingua gutturale che sparava parole, sfociavano in risse primitive che, se non altro, movimentavano il supplizio della lunga attesa. In quei momenti mi sentivo molto diverso, in tutto. Ma ero italiano, il vendicatore mio malgrado. La coda per il pane era per me sempre più corta di chi mi stava davanti, e quando le pagnotte finivano prima che toccasse il mio turno, c’era sempre chi mi offriva le sue, senza possibilità di rifiutare. Più mi inoltravo nel deserto, maggiori erano le attenzioni dei locali nei miei confronti. Era la mia prima esperienza in bicicletta in un paese musulmano e ne restai folgorato per la sincera ospitalità, per la diversità dei cibi, per i profumi inebrianti, per la bellezza sconfinata del deserto sahariano che fa volare i sogni, slaccia i legami, guarisce i pensieri malati. Avevo messo le ruote in un continente che voleva farsi conoscere, che mi chiamava a sud, verso il cuore dell’Africa Nera, il cui pulsare sentivo a portata di bicicletta. La mia rotta incrociò quella di cinque ciclo viaggiatori tedeschi sognanti l’attraversata del continente africano. Mi chiesero di girare la bicicletta e di unirmi alla loro sterzata di vita. Erano cinque pazzerelli, ed io ci sarei stato bene in quel mucchietto selvaggio. Le nostre biciclette non erano da viaggio, erano biciclette e basta. I pochi rapporti bisognava spingerli a forza di gambe e le ruote erano tutte di quelle grandi. Si partiva con un mazzo di raggi di ricambio, un copertone e una camera d’aria di scorta e tanta, pura, esuberante sete di conoscenza. Era la stagione della giovinezza. Ci sono momenti della vita che non si dimenticano e quell’incontro nel deserto è uno di quelli. Il cielo era coperto e grigio, la sabbia era nell’aria e dentro di noi. I lunghi capelli, liberi da ogni laccio, sbattevano secchi di qua e di là. La pelle del viso era dello stesso colore ocra della sabbia. Le labbra screpolate parevano le spaccature nei letti degli oued, i loro fiumi sempre assetati. Le mani, sporche e raggrinzite, erano vogliose di stringere mani di un colore diverso. Facevamo parte tutti della stessa etnia, senza una patria, senza esigenze particolari se non quella di stupirci. Poco e povero il nostro bagaglio, portato in una terra ancora più povera tanto da poterci ben definire tutti fratelli. Non seguii i cinque venuti dal vento; continuai solo, controvento. La bonaccia impoverisce lo spirito, il vento in poppa un ruffiano, la solitudine una chiarificatrice. I cinque sparirono nel grigiore di quello strano giorno, cancellati dal vento come le orme dei cammelli sulla sabbia. Ancora oggi mi sovviene di pensare a quei ragazzi, chiedendomi se abbiano raggiunto il loro sogno, che cosa faranno mai oggi, come siano cambiati, e, chissà, se quelle eroiche biciclette esistano ancora. Intanto, il mio tempo, inesorabile e cinico, ha accelerato il tic tac mettendosi a correre, e la mia Africa è rimasta una promessa lontana. Epidemie di malattie infernali, conflitti senza fine, scontri fra tribù a colpi di machete con migliaia di morti, dittatori così corrotti da vivere nell’opulenza mentre il popolo muore di fame. Multinazionali straniere a tramare per il proprio profitto portando via, a basso costo, le ricchezze di quella terra, deturpandone il volto. Rifiuti tossici dei paesi ricchi smaltiti senza regole, e tante altre nefandezze. Con questo scenario sconvolgente ho sempre rinviato il viaggio in Africa attendendo, invano, il rinsavire dell’essere umano. Ora, a cinquantasette anni, con un ginocchio da rifare e ammaccature varie, non posso più rimandare. Il mio spazio è cosa ridotta, oramai. Il desiderio accumulato in anni di vagheggiamenti mentali deve trovare sfogo. Temendo un destino avverso partirò da sotto, dal Sud Africa: almeno, male che vada, un po’ di Africa Nera me la sarò vista. Inoltre, l’idea di ritornare a casa in bicicletta, carico di novità assaporate, toccate, patite, mi stimola molto.       

Specifiche

  • Formato: 130x200
  • Pagine: 298
  • ISBN: 9788897320586
  • Prezzo copertina:: 16.00
  • Esiste la versione ebook?: no

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