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Alessandro Albergamo

L'eco dei Portici

L'eco dei Portici

Quando dici “Bologna” pensi ai portici. I portici patrimonio UNESCO dove la storia lascia il testimone alla modernità. Ma ciò che non cambia sono i poveri, gli emarginati, gli esclusi: sotto ai portici continuano ancora oggi a cercare riparo, pace, inclusione. Questo libro parla di loro, con una cruda narrazione dei loro bisogni, delle loro vite, dei loro sentimenti, accompagnando chi legge in un crescendo di empatia mai pietista o buonista, ma che lo porta a perdere qualche stereotipo tra le storie e le fotografie del libro.

 

Alessandro Albergamo nato a Bologna nel 1986, a Bologna è nato e cresciuto impegnandosi nel sociale e nel volontariato.
Esperto di welfare, Servizi Sociali e Terzo Settore, nel quale lavora dal 2009, crede nella prossimità e nello sviluppo sostenibile come strumenti per l’uguaglianza e la coesione sociali: ha iniziato come operatore sociale, e oggi è responsabile dell’area sociale di Antoniano onlus.

Leggi il primo capitolo


INTRODUZIONE

 

Una volta all’anno, il 17 ottobre, si celebra la “Giornata internazionale per la lotta alla povertà”. Come a dire che, nonostante tutto e tutti, i poveri sono ancora là dove li lasciamo ogni 17 ottobre. Non si muovono di una sola virgola nello spazio-tempo che vivono la politica e l’attualità, come se loro vivessero una dimensione completamente diversa, solamente loro. 
Una volta all’anno empatizziamo con chi è vittima della complessità in cui viviamo, del Mondo globalizzato. Empatizziamo con chi è “povero”: perché vive in strada, non ha lavoro, non ha relazioni sociali significative. Una volta all’anno scopriamo - per l’ennesima volta - il senso di una povertà più ampia rispetto quella economica, e parliamo di persone “fragili”, “deboli”, “vulnerabili” (termini politically correct, come se parlassimo di un pacco Amazon). Tutto però rigorosamente solo una volta all’anno. Non il giorno prima, nemmeno il giorno dopo: per empatizzare con chi definiamo povero, è solo il 17 ottobre di ogni anno che si può fare!
Con quanta indifferenza il 17 ottobre, più passano gli anni, più sembrerebbe addirittura mostrarci che il “qualcosa che non va” nell’idea di società che abbiamo costruito negli ultimi secoli potrebbe persino essere un filo rosso che unisce in maniera inevitabile e forse perversa la povertà come l’abbiamo sempre concepita, con le questioni ambientali, le lotte politiche, le dinamiche internazionali, i diritti sociali, le migrazioni, la perdita del lavoro, la guerra... 
Ma non c’è problema. Passato il 17 ottobre, per fortuna nostra, nel lessico ma soprattutto negli schemi quotidiani della maggior parte dei cittadini, i poveri tornano ad essere “clochard da sgomberare”, “negri negli hotel a 5 stelle”, “zingari con le mercedes”, “furbetti della mensa scolastica”. Il tema, quindi, non è più la lotta alla povertà, ma la sicurezza, la gestione dei flussi migratori, la gestione degli ingressi nei dormitori, l’estetica, il decoro, le strutture normative e burocratiche.
La conseguenza di tutto ciò è che se il 17 ottobre di ogni anno è la Giornata Internazionale per la lotta alla povertà, allora gli altri 364 diventano i giorni della lotta ai poveri.
Può sembrare una provocazione, ma purtroppo non è così: non riuscendo a eliminare la povertà preferiamo eliminare direttamente i poveri e tutto ciò che non è conforme ai nostri aridi schemi mentali e che non ci permette la costruzione di una realtà quotidiana semplice e afferrabile, senza scompensi legati alla presenza di note scordate (i poveri), in un’orchestra finta e fragile che è la nostra vita, le nostre città, addirittura le nostre politiche di welfare.
E nessuno è più immune da questo pericolo: anche chi storicamente ha sempre combattuto la povertà difendendo le persone che ne erano colpite, ora alza muri e barriere (sociali, umane e politiche) contro le persone povere al grido di “immigrazione e sicurezza”, “decoro socio-urbanistico”. Persino a Bologna, da sempre di mentalità accogliente e materna grazie al ruolo che l’Università, la Chiesa, i partiti e i portici hanno avuto sui cittadini bolognesi per oltre mille anni, sono stati applicati DASPO ai senza tetto che come unica colpa hanno quella di non aver alternativa al dormire su un cartone sotto ai portici del centro storico e vivere di espedienti disturbando il civile buon senso.
Com’è semplice e soprattutto rassicurante, per noi non-poveri, etichettare l’emarginato con rappresentazioni a loro volta emarginanti, generalizzanti, superficiali. Lo facciamo perché questa nostra scarsità di analisi del “fenomeno povertà” nasce da un desiderio recondito di serenità di fronte alle sfighe/sfide sociali, le quali hanno schemi molto più complessi della nostra povertà empatica ed esperienziale con cui le approcciamo.
Siamo noi i veri poveri, e lo siamo da secoli. «Toh, un negro!» scriveva Frantz Fanon. E noi oggi quante parole potremmo dire al posto di quel semplice “negro”? Zingaro, marocchino, frocio, disadattato, barbone... Non abbiamo mai avuto il coraggio e l’onestà di dire: «Oh, uno stereotipo!» Non abbiamo mai avuto l’onestà di dirci che siamo poveri di visioni alternative alla mentalità paternalistica sulla povertà come colpa; sui poveri come deboli e incapaci, privi di sogni e aspirazioni (siamo ancora settati sulla “piramide di Maslow” del 1954!); di visioni che sappiano affrontare il problema senza limitarlo alle questioni di “sicurezza” e “decoro socio-urbanistico”; di progetti sociali che si pongano in discontinuità con gli schemi obsoleti e freddi del passato; di riferimenti umani, culturali e sociali in grado di farci fare un salto di qualità nella lotta alla povertà; di politiche empatiche, inclusive e lungimiranti, non basate sulla spending review o sugli attacchi alla solidarietà.
Ma noi “ricchi” abbiamo il dovere di scoprirci, nel nostro piccolo, poveri di competenze relazionali, esperienziali e analitiche di fronte alla povertà umana, così da smettere di assegnarle etichette che ci fanno sentire meno a disagio quando entriamo a contatto con essa.
La povertà, come l’abbiamo sempre conosciuta, è cambiata. Si è fatta più complessa nella sua resistenza all’intervento sociale ma più semplice nel suo aggredire le persone, soprattutto quelle già deboli, eppure di pari passo non è cambiato il nostro modo di narrarla o contrastarla.

Al povero, dato che fino ad oggi ha sicuramente ed evidentemente sbagliato tutto, altrimenti sarebbe “come noi”, arriviamo quindi persino a imporre i bisogni che ci deve portare, che cosa deve mangiare, che cosa ci deve restituire in cambio dell’aiuto che gli diamo, addirittura come deve usare l’aiuto che gli diamo! 
Insomma, il povero è bene che rimanga povero altrimenti metterebbe in crisi le nostre contraddizioni, le nostre misere verità sul Mondo, le nostre facili semplificazioni della complessa realtà in cui viviamo, interrogherebbe a livelli, cui ci coglierebbe impreparati e impauriti, le nostre coscienze superficiali, le nostre minuscole certezze che ci facilitano la lettura di una problematica complessa, che vorremmo alla nostra portata ma non lo sarà mai finché non ci sporcheremo le mani con la povertà vera. La nostra.
Questi racconti vogliono regalare al lettore un nuovo modo di guardare i poveri, chi vive le sfighe/sfide del nostro tempo: uno sguardo empatico ed esperienziale, aiutarlo a sentirsi povero lui stesso: non nei panni del povero, ma sentirsi lui stesso povero di approcci, comprensione, conoscenza. 
Finché non accetteremo il pensiero che la povertà è complessa, che colpisce la mentalità di chi povero non è, e finché non passeremo oltre lo stereotipo che il povero è un malato colpevole, senza capacità o diritto di costruirsi un futuro e un presente che si sceglie all’interno di un percorso che lo vede protagonista attivo, che il povero non ha diritto alla propria dimensione umana, sociale e civile, e che queste sue dimensioni sono strettamente connesse alla nostra autenticità, allora non ci trasformeremo mai in una società in grado di produrre ricchezza condivisa, inclusione e dignità per tutti. 

Specifiche

  • Genere: Narrativa, temi sociali
  • Collana: Agrodolce
  • Formato: 14x20 cm
  • Pagine: 100
  • ISBN: 978-88-9347-248-7
  • Anno pubblicazione: 2022
  • Prezzo copertina:: 12
  • Esiste la versione ebook?: no

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