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AA.VV.

SOCC'MEL... CHE BAR!

SOCC'MEL... CHE BAR!

I bar sono importanti testimonianze storiche di una città. Sui tavolini, lungo i banconi si scoprono abitudini e costumi di una comunità.
Bologna si può raccontare anche attraverso i suoi bar, quelli del centro storico o dei quartieri.
Bar di piccole o grandi dimensioni che hanno lasciato un ricordo particolare nella nostra vita o regalato atmosfere magiche per il loro splendore o i personaggi che li frequentavano.
Dal Caffè Zanarini situato nel palazzo dell'Archiginnasio, al caffè Rubik in via Marsala con le sue atmosfere anni Ottanta, ai bar di periferia.    
Questa antologia raccoglie i migliori racconti ispirati ai leggendari bar bolognesi, famosi o meno famosi, che hanno lasciato una traccia indelebile nel nostro cuore.

Leggi il primo capitolo

QUELLA NOTTE AL BAR DI MUZZO
Michele Attanasio

Tommy e Manuel si erano dati appuntamento alle quattro davanti al bar, avevano deciso di passare insieme tutto il pomeriggio fino all’ora della partita: la cabala non si poteva cambiare. 
Era un pomeriggio caldo, ma la temperatura sarebbe salita con il passare delle ore.
Entrarono dirigendosi verso il bancone. Muzzo, il barista, non li degnò di uno sguardo continuando a leggere il giornale.
«Due spume al cedro» disse Manuel.
Spinto dall’entusiasmo di un condannato a morte Muzzo riempì i bicchieri: «Vedo che anche oggi non badate a spese.»
«Sempre a lamentarti. Oggi sarà una giornata lunga, lo sai, vedrai che bevute che faremo, e se poi vinciamo allora sarà festa.»
«Zitti, per favore, zitti!» esclamò Muzzo. «Ci manca solo che portiate sfiga e poi siamo a posto. Ecco le vostre spume, andate mò a rompere i maroni fuori.»
Manuel sollevò il bicchiere dal bancone: «Anche noi ti vogliamo bene Muzzo: alla tua salute e al tuo savoir-faire.» 
In quel preciso momento nel bar si percepì il rumore acuto provocato da un tubo di scappamento. Era impossibile non riconoscerlo.
«Ecco, adesso siamo al completo» disse Muzzo mentre meccanicamente asciugava con uno straccio alcune tazzine. «È arrivato anche Alain Delon.»
Qualche secondo dopo Billo entrò nel locale. Il passo era veloce, una rapida occhiata all’orologio posto sopra il bancone gli fece esclamare: «Socc’mel se sono in ritardo. Muzzo, mi prepari un Jack Daniels con tre cubetti di ghiaccio? Faccio una telefonata e arrivo.» 
I ragazzi lo videro scomparire nella cabina telefonica con un sacco pieno di gettoni.
«La Lella non può aspettare» disse Manuel. 
«Non è mica la Lella il problema, ma se arrivano a casa i suoi genitori non può rispondere al telefono e dopo Billo finisce a Villa Baruzziana.»
La telefonata durò circa dieci minuti, poi Billo uscì dalla cabina e si avvicinò al bancone con lo sguardo verso la sua vespa parcheggiata all’esterno: «Ormai per colpa di quel bagaglio mandavo a monte tutto.» 
«Hai rischiato di non trovare la Lella vero?» 
«Ma cosa vuoi sapere Manuel, io e la Lella non stiamo più insieme, ci siamo mollati due settimane fa, era diventata una patella, sempre attaccata: e dove vai? Ma con chi esci stasera? Ma perché non stai con me? Dù màron. Stasera ho una punta con una di Corticella che ho intortato al Ciak.»
«Oh Billo, ma stasera c’è la partita, non vorrai mica perdertela» disse Tommy.
«Me la perdo sì, e ti dico una cosa: se avessi visto la Manuela anche tu non guarderesti la partita.»
Muzzo alzò lo sguardo verso i tre: «Ho capito bene? Stasera uno spaccamaroni in meno? Meno male, ogni tanto una buona notizia.»
Billò terminò il suo Jack Daniels e appoggiò il bicchiere sul bancone: «Muzzo, sei sempre gentile e premuroso, si sente che vuoi bene ai tuoi clienti.»
Quasi non riuscì a finire la frase che il sacchetto di tessuto cedette a causa del peso spargendo i gettoni telefonici sul pavimento; il tintinnare metallico coprì a stento l’imprecazione di Billo mentre Tommy e Manuel esclamarono all’unisono: «Tombola.»
Occorsero alcuni minuti per recuperare dal pavimento tutte le monete scanalate color bronzo. Con le tasche gonfie di gettoni telefonici Billo appoggiò il braccio sul bancone: «Muzzo, ormai che ci sei, dammi dieci Rossana.»
«Ecco, adesso abbiamo fatto giornata» disse il barista. «Dieci caramelle tutte insieme? Ma non saranno troppe? Ma perché non andate da Zanarini? Dieci minuti e siete in piazza, vi sedete e ordinate. Però la spuma al cedro no, quella non c’è. Questo è un problema perché voi avete della pluma e da Zanarini ci passate alla larga, mentre siete sempre qui a rompere i maroni.»
Il monologo fu interrotto dalla voce rauca del notaio Forni che aveva iniziato a inveire contro il suo compagno di tresette: era uno spettacolo che non si poteva perdere.
Si posizionarono alle spalle del notaio che stava apostrofando uno dei due fratelli Pizzi colpevole di aver giocato la carta sbagliata: «Il problema non sei tu! La colpa è mia che ti ho scelto, perché lo so che sei tristo, ma mi ostino a fare coppia con te.» Poi con un movimento veloce scartò e mangiò un Boero per cercare di placare la sua rabbia. La tempesta sembrava passata, ma un attimo prima di ricominciare a giocare Pizzi ebbe la malaugurata idea di fare una puntualizzazione: «Io avrò sbagliato a giocare l’ultima mano, ma anche tu non è che sei perfetto.»
Il tempo sembrò fermarsi, tutti i presenti attendevano la reazione: «Tu non hai proprio l’usta per giocare. Quando vinci è per sghetto. Non dovrebbero nemmeno farti entrare in questo bar, tu e le carte siete due mondi diversi.» Il tono della voce si era alzato così com’era cambiato il colore del viso che adesso tendeva al rosso vivo.
Si alzò dalla sedia e si diresse verso il bancone: «Muzzo, fammi i conti: sono dieci Boero.»
Quella era la sua vincita. Ogni punto di scarto tra le coppie avversarie valeva un Boero, alla fine delle partite si tiravano le somme, i perdenti pagavano, i vincenti andavano via con le tasche piene. Il notaio adorava quelle praline di cioccolato ripiene di liquore: ne mangiava in quantità industriali. Raccolse il suo bottino e fece per avviarsi all’uscita; arrivato al centro della sala si bloccò, si voltò verso Pizzi lanciandogli un’occhiata di fuoco un attimo prima di chiudere a suo modo la questione: «Và bèn a fèr dal pugnàt.» 
Le risate dei presenti lo seguirono mentre attraversava la strada e faceva ritorno a casa.
«Muzzo mi apri il tre?» disse Manuel mentre con Tommy si dirigevano nella sala biliardi. Il biliardo numero tre era al centro della sala posta nel retro del bar, ed era il loro preferito. 
Prelevarono dal cassetto le bocce rosse e bianche, il pallino blu e iniziarono la partita. Dopo circa dieci minuti nella sala entrarono Lolli e Pasquini: il divertimento era finito.
Lolli era stato per molti anni capitano della squadra del bar, la sua specialità era la bocciata e non perdeva occasione di rimarcare che il record di venti filotti consecutivi era suo.
Pasquini, detto “Agnelli” perché aveva lavorato per tutta la vita come meccanico in una officina della Fiat, era il suo fidato compagno, passavano le giornate insieme aiutati dal fatto che entrambi erano vedovi.
I due spettatori presero posto sulle poltrone per osservare l’andamento della partita, appostati come cacciatori in attesa della loro preda: avvolti dalla nuvola di fumo dei sigari toscani, attesero il primo errore per scatenare l’attacco, il quale arrivò puntuale dopo qualche minuto. Dopo un testa a testa appassionante la partita era a punteggio pari a soli cinque punti dalla vittoria. Tommy si era guadagnato la bocciata per poter chiudere la partita: posizionò con cura il pallino blu appena sopra la linea bianca e si preparò per il colpo. Per un attimo incrociò lo sguardo di Lolli che attraverso il fumo del sigaro lo stava studiando. 
La bocciata fu forte ma imprecisa, le due bocce iniziarono a piroettare sul tappeto verde con traiettorie incontrollabili; Lolli muoveva gli occhi riuscendo a seguirle entrambe mentre rimbalzavano da una sponda all’altra senza riuscire ad abbattere un solo birillo. Poi l’attrito fece il suo dovere arrestando la corsa delle due sfere. 
Lolli si voltò verso Pasquini, con un gesto eclatante si tolse il cappello e poi fissò Tommy con uno sguardo rassegnato: «Non c’è niente da fare» disse in tono perentorio. «Sei proprio tristo a biliardo. Non faresti filotto nemmeno se ti mettessimo su i birilli da bowling.» Dopo quell’affermazione si alzò con lo sguardo disgustato e ritornò verso la sala principale lasciando la scena in attesa della partita successiva.
Anche Tommy e Manuel ritornarono nella sala. Davanti alla tv erano state disposte le sedie in più file, una trentina in tutto. Mancava poco all’inizio della partita. 
La cabala era fondamentale, nulla si poteva cambiare, per cui i due amici si sedettero in terza fila come durante le altre partite. Il bar si riempì in fretta con Muzzo che con la sua proverbiale gentilezza rispondeva a tono a chi gli faceva notare la lentezza nel servizio. Dietro il banco con lui, com’era successo nelle giornate precedenti, c’era suo figlio Daniele: a sentire suo padre faceva solo dei danni, ma in realtà sembrava sveglio e anche più gentile del papà, ma questo non era difficile. 
Finalmente arrivò il momento che stavano aspettando, prima l’inno ascoltato in rigoroso silenzio, poi il fischio dell’arbitro: la partita iniziò.
La tensione era al massimo, dopo le battaglie con Argentina e Brasile vissute con il cuore in gola e la vittoria con la Polonia, adesso toccava a un’altra corazzata: la Germania.
Occorreva fare la partita perfetta. Tutti i presenti al bar avevano la consapevolezza che qualsiasi errore sarebbe stato punito, e il rigore sbagliato da Cabrini a metà primo tempo non fece altro che renderla più forte. 
L’intervallo allentò la pressione sulle coronarie di alcuni avventori, e la nuvola bianca creata dai fumatori si spostò verso il bancone. Nonostante il caldo, le maggiori richieste ricaddero sul caffè corretto allo Stravecchio; Muzzo e suo figlio in perfetta sincronia riuscirono a respingere l’attacco e dopo 15 minuti di tempesta ritornò la calma intorno al bancone: la partita stava per ricominciare.
Con il passare del tempo la tensione salì, ma prima Rossi, poi Tardelli e infine Altobelli scrissero la parola fine su quella che sarebbe rimasta la vittoria più bella per i successivi ventiquattro anni. 
Dal televisore, mescolate alle urla di felicità, arrivarono le storiche parole di Nando Martellini: «Scirea, Bergomi, Genti… è finito. Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo.»
In quell’istante nel bar esplose la gioia: le sedie che si ribaltavano, le persone che si abbracciavano per un successo insperato fino a qualche settimana prima. Zanette che roteavano come scimitarre fendendo la cappa di fumo delle sigarette sfiorando pericolosamente i corpi e le teste dei tifosi. Solo per miracolo non ci furono feriti.
L’Italia era campione del mondo.
Quella sarebbe stata una notte di festa e non servì molto tempo prima di vedere gruppi di persone prendere la direzione del centro: Tommy e Manuel erano tra quelle. 
Le vie si riempirono di una marea di bandiere tricolori, ai festeggiamenti all’ombra del Nettuno parteciparono adulti e bambini. Tommy e Manuel, prima di fare ritorno al bar, fecero un passaggio in via Dei Mille per comprare lo Stadio in edizione straordinaria appena uscito. Rientrarono alla base mentre Muzzo era impegnato nelle ultime pulizie. I due ragazzi mostrarono al barista la prima pagina del giornale fresco di stampa con la foto di Bearzot in bella mostra. 
Muzzo lanciò un’occhiata veloce al quotidiano prima di sparire dietro il bancone; ne uscì con in mano un vassoio che conteneva alcune brioches e tre bicchieri con spuma al cedro: «Mi tocca brindare con voi, pensa mo’ come sono messo» disse appoggiando tutto sul tavolino esterno. Brindarono alla vittoria dell’Italia, poi restarono qualche minuto in silenzio prima che Muzzo iniziasse ad abbassare la serranda per andare a casa.
«Te lo devo proprio dire: il tuo bar è il migliore di Bologna.»
Il barista accennò a un sorriso. Tommy per la prima volta pensò che quell’uomo solitamente burbero dietro al bancone in fondo avesse un’anima gentile. 
Muzzo inserì il lucchetto nella serranda, dal retro del bar prelevò la bici, il suo mezzo di locomozione, saltò in sella e iniziò a pedalare. Passando davanti ai due ragazzi rallentò, aveva sul viso lo stesso sorriso di qualche secondo prima: «Hai proprio ragione, il mio è un gran bar, se non fosse per il branco di sfigati che lo frequenta.» Poi sparì nel buio della notte.

Specifiche

  • Genere: Racconti su Bologna
  • Collana: Socc'mel
  • Formato: 14x20 cm
  • Pagine: 270
  • ISBN: 978-88-9347-160-2
  • Anno pubblicazione: 2022
  • Prezzo copertina:: 18

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